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SAPIENS lamp
SAPIENS is a ‘lighting body’ made in iron rod. The silhouette and dimensions are those of a tall adult man, over six feet tall. Its tail is an electric cord and its head is a light bulb.
Sapiens is a hybrid object, both a sculpture and a lamp, and exists at the border between art and design. One could describe it as a poetic thought that casts light, or just a presence.
Every piece of Sapiens is unique.
SAPIENS was conceived and realized in different versions, each characterized by a specific posture of the arms and hands, in the position of pointing at either the sky or the ground; of offering or welcoming…SAPIENS è un ‘ corpo illuminante’ realizzato in tondino di ferro.
Sagoma e dimensioni sono quelle di un uomo adulto di alta statura, due metri circa, dotato di coda, che è poi il cavo elettrico. La testa è costituita da una lampadina.
Sapiens è un oggetto ibrido, che abita territori dai confini mobili: è una scultura ma è anche una lampada, è arte ma è anche design. Si potrebbe definirlo un pensiero poetico che illumina, una presenza. Sapiens è stato concepito e realizzato in diverse varianti, ognuna caratterizzata da una particolare postura delle braccia e delle mani: a indicare il cielo ovvero il mondo di sopra; la terra ovvero il mondo di sotto; l’offerta; lo scongiuro; l’accoglienza… Ogni esemplare di Sapiens è un pezzo unico.
Collocazione: da terra
Dimensioni: cm 197 x 45 x 28
Ambiente: Interno
Materiale: tondino di ferro
Mounting: Floor
Dimensions: inch 77.62 x 17.73 x 11.03
Environment: Indoor
Material: Iron rod.
Material: Iron rod.
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me ne vado in campagna
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Quiescente, obliqua
Quiescente, obliqua, dance perfomance di Ferruccio Ascari, presentata per la prima volta Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma nel gennaio del 1981, in collaborazione con il danzatore Gustavo Frigerio, viene riproposta in una nuova versione. Rispetto all’edizione di allora, una serie di nuovi elementi testimoniano dell’evoluzione del lavoro dell’artista…
Posted in installation, performance, projects, Sound, text, Work in progress, Works
Tagged Ferruccio Ascari, lights, movements, performance, Quiescente - Obliqua
Memorialevolubile, 2009
memorialevolubile, 2009, (dettaglio)
Memorialevolubile: che significa?
E’ una parola che non esiste. E’ un’invenzione ricavata dalla combinazione di due parole: memoriale, che attiene al ricordare o al far ricordare, e volubile che, al contrario, riguarda, il volgersi altrove, lo scordare. Una parola inventata unendone due di significato opposto.
Una parola che oscilla tra un’impossibile coincidenza dei contrari ed il loro irrisolvibile conflitto.
memorialevolubile, 2009, cm 58 x 94 x 76
In questa mostra troviamo la parola memorialevolubile sulla copertina di alcuni libri bianchi collocati all’interno di teche e, inoltre, su scatole di cartone che sorreggono sculture di rete metallica: un titolo dunque che si ripete, differenziandosi soltanto per il numero seriale che l’accompagna. Puoi spiegare che tipo di serialità questo titolo indica?
Titolo e immagine, nome e cosa sono, qui, inscindibili. La parola memorialevolubile spiega – nella sua irriducibile ambiguità – l’immagine, la cosa, tanto quanto queste ultime spiegano la parola. Questa relazione incrociata si dispiega nella ripetizione, nella serialità. La serialità cui “parola e cosa” rimandano è una serialità tragica che è sotto gli occhi di tutti. E’ la serie infinita di disastri ambientali di cui abbiamo perso il numero e di cui, comunque, non possiamo perdere la memoria. E’ proprio l’oscillazione tra la memoria e la sua cancellazione la contraddizione che memorialevolubile, a suo modo, indica.
Libri sotto teca, sigillati, che non si possono sfogliare…
… libri dell’orrore, libri illegibili, memoriali la cui copertina reca soltanto l’immagine di un luogo, il suo nome – Chernobyl per esempio – e la data di quel disastro. Niente altro. Basta comunque, ritengo, ad evocare un orrore che nessuna coscienza può tollerare.
Sculture leggere e, insieme, inquietanti. Oggetti simmetrici, ma di una simmetria pencolante, sbilanciata, cose come sull’orlo di un precipizio. Come in pericolo eppure pericolose. Cose in cui entrano in relazione, senza conciliarsi, trasparenza e opacità, bellezza e rovina. Puoi dire cosa ti ha mosso ad inventare delle simili forme?
E’ stato d’improvviso, come se, d’un tratto, avessi sentito il bisogno di partire, di fare un viaggio. Lasciare quello che stavo facendo. Andare via. Un viaggio mentale, un viaggio tremendo. Ho cominciato a navigare in rete alla ricerca di quei luoghi della memoria, di quei luoghi dell’orrore: Vajont, Seveso, Bhopal, Mururoa…viaggio interminabile, allucinante. E concretissimo. Niente di virtuale. Un giorno ho preso a scaricare dai siti che andavo visitando alcune immagini di quei luoghi. Un numero crescente di foto di quei disastri. Sempre di più. Un gesto compulsivo, come dettato dalla paura che il numero di quelle immagini dovesse essere infinito. Dalla disperata volontà che avesse una fine…
memorialevolubile, 2009, cm 58 x 94 x 76
… si tratta delle immagini che compaiono sulla copertina dei libri bianchi collocati nelle teche… e le sculture?
Ho sentito come insopportabile l’assuefazione al disastro, il pericolo che quei luoghi potessero essere dimenticati. Quei luoghi, il nome di ciascuno di quei luoghi, dovrebbe essere ripetuto ad alta voce, ogni giorno… Eppure la voce, la parola non basta. Perlomeno a me che gioco con le forme…
… giochi?
Sai di una cosa più seria del gioco?
D’accordo. Ma torniamo a quelle forme, alla loro inquietudine, alla loro genesi….
(continua)
Memorialevolubile, 2009Museum Schloss Lichtenberg, Germany,
Posted in Sculpture, veduta dello studio, Works
Memorialevolubile – Museum Schloss Lichtenberg, Germany – 2009
memorialevolubile, 2009, veduta d’installazione
memorialevolubile, 2009, veduta d’installazione
memorialevolubile, 2009, veduta d’installazione
D’accordo. Ma torniamo a quelle forme, alla loro inquietudine, alla loro genesi….
… una forma, prima di rappresentare qualsiasi cosa, si presenta, si espone. Necessariamente. Questa sua necessità d’esporsi mi affascina. Mi affascina perché presuppone un celarsi. Senza questo celarsi nessun disvelamento, nessuna manifestazione sarebbe concepibile. Stessa dialettica, stesso gioco tra parola e silenzio. Ma sto divagando…Tu vuoi sapere qualcosa intorno alla loro nascita: ho pensato a delle forme disponibili a diventare monumentali, che tentassero di opporsi, in qualche modo, alla tendenza a dimenticare. Ho voluto accostarle a quei nomi, a quei luoghi, a quelle date. Come un monito.
La scelta di collocare queste sculture su delle scatole di cartone dà l’idea che siano appena giunte da chissà dove o che stiano per partire: puoi parlarmi di questa installazione?…
(continua)
Posted in exhibition, projects, Sculpture, Works
Tagged Ferruccio Ascari, Memorialevolubile, Museum Schloss Lichtenberg
Memorialevolubile, 2009
memorialevolubile, 2009, ferro – cemento
La scelta di collocare queste sculture su delle scatole di cartone dà l’idea che siano appena giunte da chissà dove o che stiano per partire: puoi parlarmi di questa installazione?
ll rapporto tra una scultura e la sua base è raramente un rapporto facile. Per la verità è un rapporto difficilissimo.
Di solito colloco direttamente per terra i miei lavori. In questo caso però le sculture, soprattutto quelle di piccole dimensioni che dichiaravano con più evidenza un loro carattere progettuale, non riuscivano a star per terra, pretendevano che le si guardasse da una diversa prospettiva. Quello di poggiarle su delle scatole che avevo in studio è stato il gesto più semplice, naturale, ed ha funzionato. Permane un che di transitorio in questa collocazione. C’è, come tu giustamente osservavi, una volontà di muoversi, di traslocare, come un’urgenza…
Consentimi ancora una osservazione: queste forme di rete metallica, mi paiono in qualche modo collegabili ad un immaginario scientifico… una scienza in cui sembra essersi insinuata una disposizione maligna. M’inganno? Normalmente tu usi materiali naturali. Nella maggior parte del tuo lavoro è possibile scorgere una relazione con il mondo di organico… E se anche le forme qui esposte potrebbero, è vero, appartenere ad un qualche regno naturale, si tratterebbe, comunque, di un regno alieno, di una natura come scaturita da una mente in cui domina una sorta d’inquietante ossessione scientifica…
memorialevolubile, 2009, ferro – cemento
… non t’inganni. Devo ammettere che una forma naturale m’interroga, solitamente, più di quanto non faccia un manufatto o un prodotto industriale. Una forma naturale è facile mi chieda: lo sai da dove vengo, lo sai perché ho la forma che ho, puoi prevedere la forma che, trasformandomi, assumerò, lo capisci cosa mi muove? Io so che non so niente. E’ proprio questo che mi spinge a lavorare. Nel mio lavoro, ad ogni modo, mi sento libero d’usare qualsiasi cosa mi serva a dire quello che voglio dire, senza alcuna limitazione pregiudiziale.
Qui, in Memorialevolubile, la natura alla quale mi volgo è una natura ferita, offesa. Una natura in agonia. Un’agonia che è impossibile separare da quella “inquietante ossessione scientifica” cui alludevi. Esposte a quell’ossessione, queste forme ne sono contaminate. Dicevi “un regno alieno”: no, qui sei in errore. Se queste forme dicono di un’alienazione, quell’alienazione, quella follia non è di un altro, ma di questo mondo. Sono forme di pazzia. Forme pazze di dolore. Un dolore insopportabile. Che non è più possibile sopportare.
memorialevolubile, 2009, veduta dello studio
Dunque, a ben vedere, in questo tuo ultimo lavoro, possiamo, in fondo, scorgere una posizione politica?
Posso essere io, adesso, a porti una domanda? A ben vedere, c’è qualcosa che gli uomini facciano o subiscano –
coscientemente o incoscientemente – che venga fatta o subita al di fuori dalla politica?
T.S.
Posted in projects, Sculpture, Work in progress
VIBRACTIONS 78
Per saperne di più accedere nella front page a Vibractions 78
Posted in music, performance, Video
Terra Nera, 2008
Terra Nera, misure variabili, Galerie C. Klein_Darmstadt – 2009
Posted in exhibition, Sculpture
Opera Ultima / work in progress 2008
… se è attesa questo vuoto, è attesa di una forma, una soltanto
… se la forma attesa non può essere altro che quella e nessun’altra, attendere a quella forma è attendere che cessi di trasformarsi, attendere l’ora in cui comincerà a mostrare il suo nocciolo. Finalmente
… non sono sicuro si tratti di esorcizzare la paura del vuoto, del nulla. Che pure c’è. Si tratta, semmai, di sentire, assieme allo sgomento, irresistibile l’attrazione per ciò che non mi è dato conoscere, tentare di giocare, in qualche modo evocandolo, con l’ignoto
Opera Ultima / work in progress 2008
Per saperne di più è possibile accedere nella Front Page a [OPERA ULTIMA] dopo aver richiesto la password a info@ferruccioascari.it
Posted in Sculpture, veduta dello studio, Work in progress
Indefinito, Polimorfo – 2004/7
progetto per una scultura urbana, 2005
veduta dello studio
senza titolo, 2005, ferro, (dettagli), orto botanico di Brera
senza titolo, 2005, carta, cm 140×200
senza titolo, 2005, ferro, cm 240x250x40, orto botanico di Brera
senza titolo, 2005, carta, cm 140×200
veduta dello studio, 2005
Posted in projects, Sculpture, veduta dello studio, Works
Tagged ferro, Ferruccio Ascari, orto botanico di brera
Grande Rosso, 2005
veduta d’ installazione
Grande Rosso, 2005, fresco riportato su tela, 485×275 cm
Fiori, 2008
Fiori, 2008, terracotta, dimensioni e numero di elementi variabili
Posted in installation, projects, Sculpture, Work in progress, Works
Tagged Ferruccio Ascari, terracotta bianca
Senza titolo, 2006/7
Senza titolo, 2006/7, 24 fogli, guazzo su carta braille, ciascuno cm34 x 52
Senza titolo, 2006/7, 24 fogli, guazzo su carta braille, ciascuno cm 34 x 52, veduta d’installazione
Senza titolo, 2006/7, guazzo su carta braille, cm 50 x 70
Senza titolo, 2006/7, guazzo su carta braille, cm 50 x 70
Posted in Painting and Drawing, Works
Tagged carta braille, Ferruccio Ascari, guazzo, painting
Senza titolo, 2006
Senza titolo, 2006, carbone su carta, 35 fogli, ciascuno cm 25 x 35, veduta dello studio
Senza titolo, 2006, carbone su carta, 35 fogli, ciascuno cm 25 x 35, dettaglio
Senza titolo, 2006, carbone su carta, 35 fogli, ciascuno cm 25 x 35, veduta d’installazione
Senza titolo, 2006, carbone su carta, 35 fogli, ciascuno cm 25 x 35, veduta d’installazione
Senza titolo, 2006, carbone su carta, 35 fogli, ciascuno cm 25 x 35, veduta d’installazione
Senza titolo, 2006, carbone su carta, 35 fogli, ciascuno cm 25 x 35, veduta d’installazione
Personae
maschere per Etro, 1999
Per saperne di più visitare http://www.flickr.com/photos/ferruccioascaristudio/3400788225/
Zooa, 2005/7
101,x64,8 cm – inchiostro su carta
101,x64,8 cm – inchiostro su carta
101,5×64,8 cm – inchiostro su carta
Estratto dal saggio di Irene Cusmà
Zoographia, la scrittura della vita ovvero Dell’esposizione impossibile
pubblicato in “Oltrecorrente”, n. 12, 2006. (http://www.oltrecorrente.it/zoographia.htm)
Immaginiamo il teatro greco di Tindari, sospeso su un promontorio, affacciato a cielo e mare. Immaginiamolo in una tersissima giornata di primavera, quando, quiete e leggere, tutte le isole Eolie gli riposano di fronte, placidamente adagiate sul mare calmo e trasparente, ognuna con quella precisa curva che la contraddistingue.E’ il primo mattino, il cielo comincia appena a trascolorare dal bianco al blu, passando per tutti i toni dell’azzurro.
Qui si inaugura e insieme si ripete l’essere luogo d’incontro del teatro greco: una croce tra notte e dì, cielo e terra, terra e mare; tra uomo e dei, tra uomo e uomo. Qui, questa croce d’infiniti bracci, brilla come una stella.
[…]
“… le esponiamo a Tindari queste creature?”
“No, non può starci un disegno all’aperto. Il disegno è fragile e va protetto. Se mai si può fare qualcosa pensata per l’effimero … che so, un segno sulla sabbia”.
[…]
Immaginiamo nuovamente lo stesso teatro, ancora adagiato al centro dell’incontro. Nel cuore di questo centro sta l’orchestra, luogo che apre lo spazio allo sguardo, come lo schiudersi a spirale di un bocciolo, contraddicendo la parzialità della cavea, l’infinita linearità dell’orizzonte tra cielo e mare. In questo centro immaginiamo quello che lì è impossibile vedere: i nostri disegni. Li immaginiamo lì, perché di nessun luogo parlano come del centro di questa croce splendente d’infiniti bracci. Qui ha origine la tragedia, qui si apre il mondo e si chiude, qui si offre allo sguardo, allo schiudersi del giorno, e poi e si sottrae, quando il giorno intero è trascorso e l’oscurità inghiotte lo sguardo stesso.
[…]
Così stanno, queste creature, in cerchio, al centro del teatro che è il mondo: esposte-esponenti (al)l’aperto.Stanno dove si elude il tempo, dove il tempo è giocato, assorbito dall’attimo; stanno sospese a quel centro che sta per schiudere un mondo, oppure per riassorbirlo e, nell’immobilità più originaria, portano il pegno, il segno del movimento che seguirà.
Nel loro centro è esposto il legame di passare e rimanere, adombrato dal doppio movimento del ritrarre. Proprio in virtù di tale esposizione, questi disegni insieme ritraggono e rimandano. E’ un rimando, quello del segno, che fa coincidere i due sensi del ritrarre. Ritirare ed esporre qui si incontrano originariamente nel centro che è il segno, la pausa invincibile a cui approdano i due movimenti del respiro.
Ritrarre. Certo, questi disegni parlano di quella pausa nel mezzo, al centro appunto, di quel momento di passaggio, di sospensione terribile e leggera fuori dal tempo, fuori dal mondo. Sospensione, leggera quando prepara l’apertura, il ricadere della pioggia d’oro; terribile quando invece si addensa scura e concentra tutto in un punto, richiamando ogni tratto per la ricaduta.
Ma nel parlare, nell’esposizione, questi zooa non si possono ritrarre, non possono che farsi a loro volta mondo. Questo accade inventando una forma in cui si specchi il mondo stesso, che il mondo stesso rimandi.
Rimandare. Per questo, contemporaneamente, queste creature (ekgona), inesponibili se non fuori del mondo (fuori del passare, ad esempio nello spazio immobile del museo), parlano del tempo del mondo che si svolge tra centro e centro, tra l’origine e la fine; parlano delle sue forme: del lampo, della medusa, del soffione, della menade (anche della cipolla, mi suggeriscono), ma non rappresentandoli, presentandoli cioè una seconda volta, ma accogliendo a ogni segno l’attimo originario e conclusivo del loro venire alla luce, accordandosi di volta in volta a quanto in loro echeggia dello stare al mondo al modo dell’attimo. Accogliendo e insieme rimandando, restituiscono a ogni sguardo la qualità della pausa luminosa e accecante che precede ogni inizio: il silenzio terribile prima del tuono; la sospensione del soffione, nel punto più alto, quando, tra terra e cielo, il giro successivo, se pure ci sarà, è indecidibile; della medusa la pausa trasparente e breve del ritmico andare; della menade l’impossibile immobilità nel vortice dell’avvitamento.
Così lo sguardo di zoographia fissa la vita: inventando e restituendo il fuori-dal-tempo al centro del nostroessere-nel-tempo.
Cenere 2004/7
100×70 – cenere su carta – veduta d’installazione
100×70 – cenere su carta – dettaglio
100×70 – cenere su carta – dettaglio
100×70 – cenere su carta – dettaglio
100×70 – cenere su carta – dettaglio
100×70 – cenere su carta – dettaglio
100×70 – cenere su carta – dettaglio
100×70 – cenere su carta – dettaglio
100×70 – cenere su carta – dettaglio
100×70 – cenere su carta – dettaglio
Posted in Painting and Drawing, Works
Metameria,2006
http://agalmaeventi.blogspot.com/2006/07/catalogo-della-mostra-polemos.html
http://www.flickr.com/photos/ferruccioascaristudio/3441100471/in/photostream/
Vayu, 2008
… non nego sia inutile l’orcio che manchi del fondo, d’altronde non riesco a sottrarmi a questa inutile fatica, a questa condanna a fare cose senza utilità, senza senso. Tu lo sai in che direzione soffierà il vento, che senso avrà?
Odradek, 2008
“L’insieme appare privo di senso, ma a suo modo completo” (K.)
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